The Wanderer (1885)

The Wanderer (1885)
Alla fine dell’800 in Gran Bretagna esisteva un tiro a due cavalli chiamato The Wanderer (il vagabondo, il viandante). Il dottor William Gordon Stables, un medico di origini scozzesi, commissionò la costruzione di questo veicolo ritenendo la vita itinerante all’aria aperta benefica per la salute. Su questi affascinanti veicoli da quel giorno iniziarono a viaggiare altri "gentlemen-gipsies" (gentiluomini zingari come vennero definiti a quei tempi), che diedero il via alle prime esplorazioni "plenair" grazie al loro spirito di avventura. Un sogno anche per noi che abitiamo in un mondo (oggi come ieri) limitato da fili spinati e confini, e afflitto da una burocrazia soffocante. Il mio blog e i libri che ho scritto sono dedicati a quegli uomini. Un inno di libertà, a favore dell’utopica libera circolazione degli esseri umani su questo meraviglioso pianeta.

9 dicembre 2017

Da "Il Che, mio fratello" di Juan Martin Guevara

Contemporaneamente alla mostra visitata negli ultimi giorni era, per me in corso la lettura del libro di Juan Martin Guevara, il fratello minore di Ernesto Che Guevara, che ho terminato la scorsa notte. Desidero qui condividere due brani tratti dalla parte conclusiva del libro. Non posso che sentirmi pienamente in sintonia con quanto espresso in essi e credo esprimano concetti e contenuti di grande importanza per il nostro tempo.

"Nel corso del ventesimo secolo alcune risposte sono state la lotta armata, la rivoluzione, l'insurrezione, le rivolte. Oggi possiamo dire che questi metodi non sono i migliori. D'altra parte non c'è dubbio che il capitalismo non si estinguerà da solo. Non dirà: "Ok, va bene voglio un mondo migliore. Basta, mi fermo qui, mi arrendo."
Il grande problema è trovare la strada che porta all'equità, alla giustizia. Il Che era a favore della lotta armata, perché credeva che fosse l'unico modo di mettere fine una volta per tutte all'imperialismo. Dobbiamo aspettare che il boia ci tagli la testa, che Dracula ci succhi tutto il sangue, o è il caso di prendere le armi per difenderci? Negli ultimi anni siamo stati testimoni di situazioni di aggressione contro il popolo, come ad esempio la crisi dei mutui subprime e dei pignoramenti immobiliari. Eppure non c'è stata una grande mobilitazione. Coscienti del male che fanno, i potenti producono la disinformazione e la distrazione necessarie all'abbruttimento delle masse. La gente è troppo depoliticizzata, e non solo negli Stati Uniti.
La difesa accanita della proprietà privata, dell'individualismo e dell'egoismo è così radicata nella società che è diventato estremamente difficile organizzare il popolo. Quest'ultimo crede che non ci sia soluzione, non ci sia alternativa. È diventato fatalista. E allora, come mai alla fine mi sono deciso a parlare? Perché questo libro e l'associazione? La risposta alla prima domanda è che mi trovo sempre di fronte a un'evidenza: è necessario trasformare la società. Rivendico gli ideali di mio fratello. Parlo in suo nome. Perché sia possibile studiare i grandi pensatori della storia, ci deve pur essere qualcuno che li legga con dedizione, li pubblichi e li cataloghi.
È ciò che faccio con l'associazione. La risposta alla seconda domanda è che, se svolgessi la mia missione "in solitaria", potrebbero mettermi i bastoni fra le ruote - a parte il fatto che ho 72 anni. I nemici del popolo non possono fare nulla contro un libro, e men che meno se pubblicato in Francia. C'è stato un tempo in cui le opere " sovversive" erano censurate in Argentina. Ora non più. Il metodo usato oggi è di impedirci di leggere, spingendoci a guardare la televisione, a navigare in Internet. È il motivo per cui io sono così contrario a questi media. La loro immediatezza mi disturba.
Tutto ormai deve essere per forza istantaneo, mentre invece dovremmo prenderci il tempo per pensare, per riflettere. La tecnologia e i tempi moderni non lo consentono più. Visto che sono un ottimista e penso che l'umanità non voglia la propria morte, dobbiamo fare qualcosa e sento che il momento è propizio per la diffusione della filosofia di Ernesto.
Il suo pensiero è così vasto e lui non ha avuto il tempo di mettere in pratica i suoi principi fondamentali, e io ho almeno il dovere di farli conoscere di più. Il Che aveva il dono di saper motivare. Bisogna perciò riaccendere i riflettori su di lui." 

"Il potere ha pensato di fare a pezzi il Che in tutti i modi possibili, scegliendo di eliminarlo anziché arrestarlo, facendo sparire il cadavere, infine dissacrando il suo spirito, la lotta, gli ideali. L'hanno ammazzato e invece, malgrado tutto, è sopravvissuto. Quante volte hanno dipinto la rivoluzione cubana come un'invasione straniera, un'avanzata sovietica, invece di riconoscere che era un progetto nazionale e patriottico? Non hanno anche descritto Ernesto come un assassino, un selvaggio, un orrendo marxista? Neppure le calunnie hanno funzionato. I parolieri hanno continuato a comporre canzoni (sono state dedicate al Che almeno una cinquantina di ballate), gli scrittori a scrivere libri e i poeti poesie, gli artisti di strada a dipingerlo sui muri e via di seguito. Così il Che continua a vivere, è più che mai presente, volerlo annientare è un'illusione.
La strategia è dunque di mistificarlo, di crocifiggerlo affinché l'umanità la smetta di considerarlo reale, tangibile. Se è un mito, come seguire il suo esempio? Non è più un uomo in carne e ossa ma una figura fantasmagorica inaccessibile, impossibile da emulare. Più aumenta la sua leggenda, più il suo pensiero viene svilito. È diventato come una conchiglia, bellissima, ma vuota. Pensate che sia casuale? Direi proprio di no. È stato fatto un parallelo tra Cristo e il Che. Si assomigliano nella morte.
Ho detto nel primo capitolo di questo libro, che la famosa foto di Ernesto giacente sulla lastra di cemento nella lavanderia dell'ospedale di Vallegrande ricorda in modo inquietante il Lamento sul Cristo morto di Andrea Mantegna. L'analogia, che (personalmente) trovo inutile e pericolosa, ha trasformato Ernesto in Sant'Ernesto de La Higuera.
Le sue idee, la sua determinazione, la sua capacità di lottare sfumano dietro alla leggenda. Ernesto era tutto tranne un mistico, anche se si autodefiniva "un profeta ambulante". Ciò non gli impediva di avere punti in comune con Cristo: l'umanità, la costante preoccupazione per gli oppressi, la ribellione contro i potenti, il rifiuto della ricchezza, la condanna dell'avidità. Gesù si è sacrificato per gli uomini, il Che ha fatto lo stesso. Il Che combatteva per il popolo, ha sacrificato la sua vita per lui. Ed è per questo, senza alcun dubbio, che la sua immagine ha assunto una tale importanza così rapidamente, in appena 50 anni. Oggi le informazioni circolano a una velocità fenomenale. Si diffondono universalmente nel giro di qualche secondo. Eppure abbiamo ancora molte cose da scoprire su di lui. Come sarà percepito fra due millenni? Spero che non sia diventato un personaggio di carattere religioso. La gente dovrà tener conto della sua umanità, non della religiosità. La figura del Che persiste. È lì, presente, e non possiamo liberarcene. Per alcuni continua a rappresentare un pericolo reale. I giovani di tutto il mondo lo adottano come archetipo di ribellione, di integrità, di lotta, di giustizia, di ideali.
Qualche esempio contemporaneo: mentre va a incontrare Papa Francesco, il presidente boliviano Evo Morales porta una giacca su cui è ricamata la figura del Che; ha pure un suo ritratto nell' ufficio presidenziale. In Libano i manifestanti che protestano davanti alla tomba del Primo ministro Rafiq Hariri contro la Siria, indossano maglie con l'effige del Che. Il calciatore francese Thierry Henry si presenta a una festa della Fifa con una maglia rossa e nera col Che. A Stavropol', in Russia, i manifestanti che denunciano l'obbligo del pagamento in contanti per avere l'assistenza sociale, sfilano con striscioni del Che. Nel campo profughi di Dheisheh nella striscia di Gaza, ci sono insegne con l'immagine del Che su un muro che commemora le vittime dell'Intifada. Il ribelle cinese e deputato di Hong Kong Kwok-Hung sfida Pechino con una maglietta del Che. Infine, a Hollywood, Carlos Santana interpreta la canzone del film "I diari della motocicletta" e ha indosso una camicia del Che e un crocifisso in mano.
Il Che rappresenta la ribellione ai poteri forti."


Da "Il Che, mio fratello" di Juan Martin Guevara





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